LA STORIA
UN BORGO MEDIEVALE
Anche Olera, pur essendo una piccola frazione nel comune di Alzano Lombardo, poco importante oggi, ma forse non così nei secoli precedenti, ha una storia che risale a tempi lontani. Il primo documento conosciuto in cui appare il nome Holera, risale al 1165 ed è custodito nella Biblioteca Civica di Bergamo. E’ una pergamena contrassegnata dal numero 2216, che, scritta in latino, così comincia: In Christi nomine. Anno Dominicae Incarnationis millesimo centesimo sexagesimo quinto, quodam die veneris quae est nona novembris. (In nome di Cristo. L’anno 1165 dall’incarnazione del Signore, il giorno di venerdì nove novembre…). In essa si parla di un certo Lanfranco Scaroto e dei figli di Pietro Penezza che avevano contrasti riguardo alle decime con i canonici della Chiesa di S. Vincenzo e di S. Alessandro, in Bergamo. Finiti in tribunale, un giudice e console di Bergamo, di nome Giorgio di Mornico, esaminò i documenti, ascoltò delle testimonianze e sentenziò che i canonici avevano diritto a riscuotere le decime nelle terre di Holera e che erano proprietari di alcune terre di Larianica, (così si chiamava l’odierna Ranica). Dopo questo documento non si ha più nessuna notizia di Olera fino al 22 novembre 1229.
Conservata ancora nella Biblioteca Civica, esiste un’altra pergamena, numero 1152. Quest’ultima ci informa che il Capitolo della Cattedrale di Bergamo aveva due pezze di terra in monte Tansilii e intendeva affittarle per 29 anni, come d’uso allora. Una di esse andò a un tale che abitava alla porta di S. Lorenzo in città, l’altra fu affittata a Michele detto Musso, fu Tendoldo Vitali che abitava a Valesse, ma che era originario di Olera. Questo potrebbe far pensare che già 750 anni fa la terra di Olera non bastasse più ai suoi abitanti se erano costretti a cercare lavoro a Bergamo. Al 1230 risale anche il capostipite della famiglia Donadoni, esistente ancora oggi ad Alzano. Tale capostipite, come appare dall’albero genealogico della famiglia, è Simone Donadoni de Olera, 1230. In un’altra pergamena, sempre custodita nella Biblioteca Civica di Bergamo, numerata 1155 e con data 1244, appare il nome Acerbis de Olera confinante a meridie con una pezza di terra, posseduta alla Busa di Nese dai fratelli Pedercino e Zanino, figli di Alessandro Giovanni Berceroni di Nese. Da quanto riferisce il Mandelli, nel suo libro Alzano nei secoli, un certo Alberto Acerbis, discendente da una della più ricche e antiche famiglie bergamasche, citato anche dallo storico Bortolo Belotti, come uno dei secoli savi di Bergamo, eletti per ricomporre la pace in città, divisa da dissensi tra guelfi e ghibellini, fece costruire nel 1296, nella sua Villa d’Olera casa e chiesa. Certamente questa iniziativa fu importante per l’organizzazione del piccolo paese, ma Alberto Acerbis non può essere considerato il vero fondatore di Olera. Rintracciare il periodo e il motivo per cui fu fondata Olera è pressoché impossibile. Certamente la fondazione risale a prima dell’anno 1165, o forse addirittura al periodo romano, poiché anche Brumano risale a tale periodo. Si potrebbe avanzare questa ipotesi. Brumano è posto in una posizione tale da controllare la vallata e potere così individuare chiunque volesse raggiungere la Valle Brembana. Ma non si spiegherebbe la formazione di un posto di controllo nella valle che porta a Monte di Nese, quando è più facile e veloce raggiungere la Valle Brembana passando da Olera. Quindi può darsi che anche Olera sia sorta per questo motivo. Dall’altra parte esiste anche la tradizione che Olera sia stato un posto doganale e si ritiene essere stata casa di dogana una delle ultime sita a nord-ovest della chiesa e precisamente quella di via Ponte di Vite al n. 59. Si notano ancora le evidenti vestigia di una porta che in seguito è stata chiusa.
Anche il nome potrebbe risalire ai Romani. Infatti potrebbe derivare dal termine latino olus (erbaggi, legumi), ad indicare una terra ricca di legumi. (Da «Olera 1964»). Ma l’ipotesi più reale appare la seguente. In una carta geografica del comune di Poscante, Olera si trova scritta con due elle, Ollera, e anche questo può derivare dal termine latino olla (pentola, pignatta). Le persone più anziane di Olera si ricordano ancora quando il cibo veniva cotto con le «öle», recipienti di pietra ollare, tecnicamente conosciuto come Serpentina, di colore verdastro, era ricavato proprio dalla montagna su cui è posta Olera, di fronte al monte Solino. Tale sasso probabilmente ha dato il nome ad Olera. Infatti la desinenza «-era» è frequente nel dialetto bergamasco e sta ad indicare il corrispondente italiano di spazio o luogo. Come «l’era» è lo spazio libero, la «volpera» il luogo della volpi, la «calchera» il forno che aveva lo scopo di creare la calce e la «foghera» il luogo del fuoco, (termini questi che designano tuttora luoghi nelle vicinanze di Olera), così Olera certamente significa luogo delle «öle». Questa ipotesi è la più accettabile e quasi certa, perché in parte verificata attraverso il ricordo che gli anziani di Olera hanno delle «öle». Sembra quasi strano che questo paese, situato a pochi chilometri dalla città, sia rimasto quasi intatto nelle sue strutture architettoniche tipicamente medioevali. E’ stata recentemente costruita solo qualche casa lungo la strada che porta al paese, ma tutta la parte antica intorno alla chiesa è stata conservata. Olera è caratteristica nel suo insieme di case di pietra, l’una addossata all’altra, nei suoi anditi, nelle stradicciole in cui non passano auto e che rendono pertanto il paese come un’isola che assiste con distacco all’era della civiltà industriale, nelle sue gradinate che si snodano tra angoli inconsueti, scalette di legno, pollai e portali che ci rivelano la maestria dei tagliapietre locali. Le cave attorno al paese hanno fornito la materia prima per le case, così compatte e robuste, con spigoli diritti e particolari che sembrano quelli di una poderosa fortezza. Particolari perché, in Olera, pilastri e spigoli delle case venivano costruiti con una tecnica locale, del tutto originale. Non si usava sovrapporre i blocchi di pietra come tanti parallelepipedi, uno sopra l’altro, ma lastre di pietra; due di esse affiancate e tenute unite da un po’ di malta formavano un cubo sul quale se ne appoggiava un altro, fatto alla stessa maniera ma con le pietre orientate a 90° dalle due sottostanti, e così via. Alcune costruzioni erette con questa particolare tecnica sono ancor oggi visibili.